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YOGA SUTRA

Aggiornamento: 9 ago

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Lo Yoga Sūtra di Patañjali (in devanagari योगसूत्र «aforismi sullo Yoga») è un testo mistico-filosofico indiano risalente ai primi secoli; ritenuto fondamentale nello Yoga darśana, è uno dei sei sistemi ortodossi dell'induismo.


L' opera consiste in una raccolta di 196 aforismi, ovvero brevi e significative frasi concepite per essere memorizzate con facilità, come era costume presso i maestri hindu, ove la tradizione orale era il mezzo principale per condividere e tramandare la conoscenza.

Dell'autore, il filosofo Patañjali, nulla si sa oltre le leggende, e difficile risulta anche una datazione accurata dei sūtra stessi.


Gli Yoga Sutra sono una raccolta di 196 brevi aforismi divisi in 4 capitoli che descrivono la pratica e gli scopi dello yoga attraverso gli ashtanga dello yoga, ossia gli otto stadi che il praticante deve seguire per raggiungere kaivalya, ossia la suprema libertà.


l testo è suddiviso in quattro sezioni (pāda):


viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del samādhi, lo stato di beatitudine nel quale, sperimentando una differente consapevolezza delle cose, si consegue la liberazione dal "ciclo delle rinascite" (saṃsāra).


vengono descritti il Kriyā Yoga e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga degli otto stadi", noto anche come Raja Yoga, lo "Yoga regale").


si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti i "poteri sovraumani" (vibhūti) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga.


Kaivalya vuol dire letteralmente "separazione", e si allude qui alla separazione fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).


«Le azioni di uno yogi non sono né bianche né nere. Le azioni degli altri sono di tre tipi: bianche, nere e grigie.»

(Yoga Sūtra, IV.7)


Questa distinzione in tre parti del karma (le "azioni") ha una sua corrispondenza con le tre guṇa, le tre componenti, o qualità, della prakṛti ("materia"): secondo il Sāṃkhya le trasformazioni che la materia subisce nel tempo (pariṇāma, "evoluzione") sono dovute all'avvicendarsi di queste tre componenti fondamentali: tamas, rajas, sattva. Ai primordi del tempo, le tre guṇa giacciono in perfetto equilibrio fra loro: è lo stato della materia immanifesta, il tempo non esiste. Quando questo equilibrio si altera, la materia diventa manifesta, il tempo ha inizio. Gli aspetti della materia non sono se non l'effetto della colorazione che viene dalle guṇa, esseri viventi non esclusi. Anche le nostre azioni (karma) sono perciò colorate dalle guṇa: nere (tamas), grigie (rajas) e bianche (sattva). Così non è per lo yogin che ha raggiunto la perfezion: egli è al di là delle guṇa, il che equivale a dire che il karma, la legge di causa ed effetto, non lo vincola più, è libero. Nel commentare questo sūtra, Iyengar afferma che è qui che viene evidenziato il vero significato del Kaivalya Pāda.

Nel secondo pāda Patañjali ha illustrato i mezzi pratici per conseguire il samādhi; nel primo spiegato cosa il samādhi sia; quali i suoi frutti nel terzo. Negli ultimi sūtra di quest'ultimo pāda, dopo aver discusso su cosa debba intendersi per kaivalya, egli torna su quell'argomento: quando si raggiunge il samādhi, le tre guṇa terminano il loro compito (IV.32), il tempo si ferma (IV.33) e:


«La risoluzione in senso inverso delle qualità [guṇa], priva così di ogni spunto di azione per lo spirito [puruṣa], è il kaivalya, ossia il ristabilirsi della conoscenza nella natura che gli è propria.»

(Yoga Sūtra, IV.33 (IV.34))


Come aveva già espresso in II.18, II.21 e poi ribadito in IV.24, la natura (prakṛti) esiste non per soddisfare sé stessa ma per consentire l'emancipazione (apavarga), per consentire cioè da un lato, alla propria parte più elevata (il citta) di riconoscere sì d'essere altro dallo spirito (puruṣa), ma al contempo affine a questo; dall'altro, al puruṣa di non essere più ingannato dall'evoluzione della prakṛti, d'essere al di là del legame causa-effetto cioè, e quindi di ritrovare la sua autentica natura, che è pura conoscenza (dṛśimātraḥ śuddhaḥ) (II.20).


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